BUON GIORNO RAGAZZI!!!
FINALMENTE L'ATTESA E' FINITA...
USCIRA' OGGI,
IN ESCLUSIVA EBOOK,
IL PRIMO LIBRO DELLA SERIE
"White Rabbit Chronicles"
DI
Gena Showalter.
E' GRAZIE ALLA CASA EDITRICE
Harlequin Mondadori
E ALLA SUA NUOVA E FORTUNATISSIMA COLLANA,
H.M,
CHE DA OGGI POTREMO LEGGERE
"Alice in Zombieland"...
Stiamo per essere catapultati nella storia più appassionate,
oscura e romantica dell'anno.
Seguite il Coniglio Bianco...
Uno straordinario mix di horror, fantasy e romanticismo che vi farà dimenticare Twilight.
TITOLO: "Alice in Zombieland"
TITOLO ORIGINALE:
(Alice in Zombieland)
SERIE:
WhiteRabbit Chronicles, #1
AUTORE:
Gena Showalter
CANALI: eBook
PREZZO eBook: 6,99€
DATI: 320 p., circa
TRAMA:
 |
COVER ORIGINALE |
Non avrò pace finche non avrò rispedito nella tomba tutti i morti che
camminano per sempre.
Se mi avessero detto che la mia vita sarebbe
cambiata in un momento, sarei scoppiata a ridere. Ma è quello che è
accaduto. Il tempo di un respiro e tutto ciò che amavo è sparito. Mi
chiamo Alice Bell e la notte del mio sedicesimo compleanno ho perso la
madre che adoravo, la mia sorellina e il padre che non ho mai capito.
Quella notte ho scoperto che lui aveva ragione: gli zombie esistono. E
mi hanno portato via tutto. Ora non mi resta che la vendetta... Per
vendicarsi. Alice dovrà imparare a combattere contro i non-morti e
fidarsi dell'inaffidabile Cole Holland. Ma lui nasconde dei segreti. Che
potrebbero rivelarsi persino più pericolosi degli zombie.
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UN ESTRATTO...
Un biglietto da Alice
Se qualcuno mi avesse detto che la mia vita
sarebbe cambiata in un momento, sarei
scoppiata a ridere. Dalla beatitudine alla
tragedia, dall’innocenza alla rovina? Ma
per favore.
E invece è andata proprio così. Un attimo,
un secondo, il tempo di un respiro, e
tutto ciò che conoscevo e amavo è sparito.
Il mio nome è Alice Bell e la notte del mio
sedicesimo compleanno ho perso la madre
che amavo, la sorellina che adoravo e il padre
che non ho mai capito finché non è stato
troppo tardi. Fino a quell’istante, quando
tutto il mio mondo è crollato e uno nuovo
ha preso forma intorno a me.
Mio padre aveva ragione. I mostri camminano
in mezzo a noi.
Di notte questi morti viventi, questi...
zombie escono dalle loro tombe e bramano
ciò che hanno perduto. La vita. Si nutriranno
di voi. Vi infetteranno. E poi vi
uccideranno. Se questo accadrà, anche voi
uscirete dalla tomba. È un cerchio senza
fine, come un topo che corre all’interno di
una ruota di filo spinato: sanguina e muore
lentamente mentre le punte acuminate gli
penetrano sempre più nella carne, ma non
ha modo di fermare lo slancio letale.
Gli zombie non conoscono la paura, non
conoscono il dolore, ma hanno fame. Oh, se
hanno fame. C’è un solo modo per fermarli,
ma non posso spiegarvelo. Ve lo devo mostrare.
Ciò che posso dirvi è che dobbiamo
combattere gli zombie per renderli inoffensivi.
Per combatterli, dobbiamo avvicinarci
a loro. E per farlo, dobbiamo essere un po’
coraggiosi e molto folli.
Ma la volete sapere una cosa? Preferisco
che il mondo mi consideri pazza mentre
cado combattendo, invece di trascorrere il
resto della vita nascondendomi dalla verità.
Gli zombie sono reali. Sono là fuori.
Se non state in guardia, prenderanno anche
voi.
E dunque, sì, avrei dovuto ascoltare mio
padre. Mi aveva ripetuto mille volte di non
uscire mai di notte, di non avvicinarmi mai
a un cimitero e di non fidarmi mai, per nessun
motivo al mondo, di qualcuno che volesse
farlo. Avrebbe dovuto seguire i suoi
stessi consigli... Invece si è fidato di me e io
l’ho convinto a fare entrambe le cose.
Se potessi tornare indietro, farei migliaia
di cose in modo diverso. Direi di no a mia
sorella. Non chiederei a mia madre di parlare
con papà. Non piangerei. Mi sigillerei
le labbra e ingoierei quelle parole odiose.
E a parte questo, abbraccerei mia sorella,
mia madre e mio padre un’ultima volta. Direi
loro che li amo.
Vorrei... oh, come lo vorrei.
.1.
Nella tana degli zombie
[...]
La gente si era spostata nel foyer come
uno sciame di api, metà aspettava, l’altra
metà si dirigeva verso le porte. Fu lì che
trovammo nostro padre. Si era fermato vicino
alle finestre e scrutava il parcheggio. I
lampioni illuminavano il tragitto fino alla
nostra Tahoe, che mamma aveva parcheggiato
illegalmente nel posto per i disabili
più vicino, così da poter scendere e risalire
più facilmente. La sua pelle aveva assunto
una sfumatura grigiastra e aveva i capelli
dritti in testa, come se avesse passato le
dita tra le ciocche troppe volte.
Mamma stava ancora cercando di calmarlo.
Grazie al cielo era riuscita a disarmarlo
prima che uscissimo di casa. In genere
portava pistole, coltelli e stelle ninja
ogni volta che osava uscire.
Appena li raggiunsi, lui si voltò e mi
afferrò per le braccia, scuotendomi. «Se
vedi qualcosa nell’ombra, qualunque cosa,
prendi tua sorella e scappa. Mi hai sentito?
Prendila e torna subito dentro. Chiudi
le porte, nasconditi e chiedi aiuto.» I suoi
occhi erano blu elettrico, da allucinato, e le
pupille si erano dilatate fino a coprire quasi
del tutto le iridi.
Il senso di colpa divampò dentro di me.
«Lo farò» gli assicurai, posando le mani sulle
sue. «Non preoccuparti per noi. Mi hai
insegnato a difendermi, ricordi? Proteggerò
Em, a qualunque costo.»
«Okay» disse lui, anche se non sembrava
per niente soddisfatto. «Allora va bene.»
Avevo detto la verità. Non so per quante
ore mi fossi allenata con lui nel giardino
dietro casa, imparando a bloccare potenzia6
li aggressori. Certo, quelle lezioni in teoria
servivano a impedire che i miei organi interni
diventassero la cena di qualche essere
decerebrato, ma l’autodifesa era sempre
autodifesa, giusto?
Mia madre riuscì a convincerlo ad avventurarsi
all’esterno. Nel frattempo la gente
ci scoccava occhiate sconcertate che cercai
di ignorare. Camminammo tutti insieme,
come una vera famiglia, mettendo un piede
davanti all’altro così in fretta che sembrava
volassimo. Mamma e papà davanti, Em
e io pochi passi dietro di loro, tenendoci per
mano mentre i grilli frinivano, fornendoci
una bizzarra colonna sonora.
Mi guardai intorno, cercando di vedere
il mondo come doveva vederlo mio padre.
Scorsi un lungo tratto di catrame nero...
mimetizzazione? Un mare di macchine...
possibili nascondigli? E dietro i boschi che
coprivano le colline... luogo di riproduzione
degli incubi?
In alto nel cielo splendeva la luna, piena
e meravigliosamente nitida. C’erano ancora
delle nuvole, arancioni e un po’ inquietanti.
E quello era... no, impossibile... Battei le
palpebre, rallentai. Caspita, sì! Era proprio
lui. La nuvola a forma di coniglio mi aveva
seguita. Bizzarro.
«Guarda le nuvole» dissi a Em. «Noti
niente di strano?»
Una pausa, poi: «Un coniglio?».
«Esatto. L’ho visto anche questa mattina.
Deve pensare che siamo proprio straordinari.»
«Perché è così, infatti.»
Mio padre si accorse che eravamo rimaste
indietro, tornò indietro di corsa, mi afferrò
per il polso e mi trascinò con sé, più veloce,
sempre più veloce... mentre io tenevo stretta
la mano di Emma e mi trascinavo dietro
lei. Avrei preferito lussarle una spalla piuttosto
che lasciarla indietro, anche solo per
un secondo. Papà ci voleva bene, ma una
parte di me temeva che ci avrebbe lasciate
lì, se lo avesse ritenuto necessario.
Aprì la portiera dell’auto e mi scaraventò
dentro come un pallone da calcio. Emma mi
raggiunse un secondo dopo e condividemmo
un momento di eloquente silenzio dopo
esserci sistemate.
Divertente, dissi muovendo solo le labbra.
Buon compleanno, replicò lei, altrettanto
silenziosa.
Non appena si sedette sul sedile del passeggero,
papà bloccò le portiere. Tremava
troppo per riuscire a mettersi la cintura di
sicurezza e si arrese. «Non passare davanti
al cimitero» disse a mia madre. «Ma portaci
a casa più in fretta che puoi.»
Avevamo evitato il cimitero anche all’andata,
benché fosse ancora giorno, allungando
inutilmente un tragitto già lungo.
«Certo. Non preoccuparti.» La Tahoe si
accese con un ruggito e mamma inserì la
retro.
«Papà» intervenni, nel tono più ragionevole
che riuscii a usare, «se prendiamo la
strada più lunga, resteremo imbottigliati
dove ci sono i lavori.» Vivevamo appena fuori
dalla grande, splendida Birmingham e il
traffico di per sé poteva diventare un orribile
mostro. «Potremmo metterci mezz’ora
in più. E tu non vuoi che rimaniamo imbottigliati
nel traffico al buio, vero?» Avrebbe
raggiunto livelli di panico tali che tutte noi
avremmo artigliato le portiere pur di fuggire.
«Tesoro?» disse mia madre. L’auto arrivò
all’uscita dal parcheggio, dove avrebbe dovuto
svoltare a destra o sinistra. Se fosse
andata a sinistra, non saremmo mai arrivati
a casa. Davvero, se fossi stata costretta
a sopportare mio padre per più di mezz’ora
sarei saltata fuori del finestrino e, con un
gesto pietoso, avrei portato Emma con me.
Se mamma avesse svoltato a destra il tragitto
sarebbe stato breve, avremmo dovuto
affrontare un breve attacco di panico e tutto
si sarebbe risolto in poco tempo. «Andrò
così veloce che non riuscirai nemmeno a vederlo,
il cimitero.»
«No. Troppo rischioso.»
«Per favore, papà» dissi, pronta a usare
la manipolazione. Dopotutto lo avevo già
fatto. «Fallo per me. È il mio compleanno.
Non vi chiederò nient’altro, lo prometto,
anche se vi siete dimenticati quello dell’anno
scorso e non mi avete fatto nemmeno un
regalo.»
«Io... io...» Il suo sguardo continuava a
guizzare qua e là, scrutando gli alberi vicini
alla ricerca di un qualsiasi movimento.
«Per favore. Emma deve andare a letto,
altrimenti si trasformerà in Lily della
Valle delle Spine.» L’avevamo soprannominata
così molto tempo prima, leggendo un
libro di Patrick Carron, perché quando era
stanca, si trasformava in una creatura intrattabile
che si lasciava dietro una scia di
cadaveri.
Em fece una smorfia e mi diede un pugno
scherzoso. Io mi strinsi nelle spalle, un gesto
universale per dire: be’, è vero.
Papà sospirò rumorosamente. «Okay.
Okay. Ma, mi raccomando, infrangi la barriera
del suono, amore» disse, baciando la
mano di mia madre.
«Hai la mia parola.»
I miei genitori si scambiarono un sorriso
dolce. Mi sentii quasi in imbarazzo per
averlo notato; una volta era sempre così,
loro due si scambiavano occhiate del genere
di continuo, ma con gli anni i sorrisi
complici erano diventati sempre meno frequenti.
«D’accordo, andiamo.» Mamma svoltò a
destra e, con mia enorme sorpresa, cercò
davvero di infrangere la barriera del suono,
violando tutti i limiti di velocità, passando
da una corsia all’altra, suonando alle auto
troppo lente e lampeggiando perché le dessero
strada.
Ero impressionata. Le poche volte che
mi aveva dato lezione di guida era sempre
stata un fascio di nervi, con il risultato che
trasformava in un fascio di nervi anche me.
Non eravamo andate lontano e non avevamo
osato superare i trenta chilometri
all’ora anche fuori del nostro quartiere.
Non smise un attimo di chiacchierare
mentre guidava e io controllai l’ora sul cellulare.
I minuti scorrevano e ne passarono
dieci senza nessun incidente. Ne mancavano
ancora venti.
Papà teneva la faccia premuta contro
il finestrino, il suo respiro accelerato appannava
il vetro. Forse stava ammirando
le montagne, le vallate e gli alberi lussureggianti
illuminati dai lampioni, invece di
cercare mostri.
Sì. Come no.
«Allora, come sono andata?» mi sussurrò
Emma.
Le presi la mano e la strinsi. «Sei stata
strabiliante.»
Le sue sopracciglia scure si avvicinarono
e io capii cosa stava per arrivare. Sospetto.
«Giuri?»
«Giuro. Sei stata fantastica. In confronto
a te le altre bambine hanno fatto schifo.»
Em si coprì la bocca per fermare una risatina.
Non potei fare a meno di aggiungere: «Hai
presente il ragazzino che ti ha fatto fare la
piroetta? Credo sia stato tentato di scaraventarti
giù dal palco, in modo che finalmen13
te qualcuno guardasse anche lui. Davvero,
tutti gli occhi erano puntati su di te».
La risatina proruppe, ormai inarrestabile.
«Quindi stai dicendo che, quando sono
inciampata, se ne sono accorti tutti.»
«Sei inciampata? Vuoi dire che non era la
coreografia del balletto?»
Lei mi diede un cinque. «Bella risposta.»
«Tesoro» intervenne mamma in tono allarmato.
«Perché non metti un po’ di musica?»
Mi chinai in avanti e guardai fuori dal
parabrezza. Sì, ci stavamo avvicinando al
cimitero. Se non altro non c’erano altre
auto nelle vicinanze, così nessuno avrebbe
assistito all’imminente crisi di nervi di mio
padre. Perché sarebbe crollato, era sicuro.
Sentivo la tensione crescere nell’aria.
«Niente musica» disse lui. «Devo concentrarmi,
restare in allerta. Devo...» Si irrigidì,
stringendo il bracciolo del sedile tanto
che le nocche sbiancarono.
Trascorse un momento di silenzio, teso e
pesante.
Il suo respiro accelerò, diventò sempre
più rapido, finché esclamò con voce stridula:
«Sono là fuori! Ci attaccheranno!».
Afferrò il volante e lo girò bruscamente.
«Non li vedi? Stiamo andando dritto verso
di loro. Torna indietro! Devi fare inversione
di marcia!»
La Tahoe sterzò bruscamente ed Emma
gridò. Le afferrai la mano e la strinsi, rifiutandomi
di lasciarla andare. Il cuore mi
martellava contro le costole, la pelle era
coperta da un velo di sudore freddo. Avevo
promesso di proteggerla e l’avrei fatto.
«Andrà tutto bene» le dissi.
Tremava così forte da scuotere anche
me.
«Tesoro, ascoltami» disse mia madre cercando
di calmarlo. «Siamo al sicuro qui
dentro. Nessuno può farci del male. Dobbiamo...
»
«No! Se non torniamo indietro ci seguiranno
fino a casa!» Mio padre era completamente
fuori di sé e non aveva sentito niente
di ciò che mia madre gli aveva detto. «Dob15
biamo tornare indietro!» Afferrò di nuovo il
volante, lo girò ancora, con maggior forza, e
in quel caso l’auto non si limitò a sterzare,
ma fece un testacoda.
Continuò a girare come una trottola per
quella che mi sembrò un’eternità. Serrai la
presa sulle dita di Emma.
«Alice!» urlò lei.
«È tutto okay. È tutto okay» ripetei, come
se fosse un mantra. Il mondo ronzava intorno
a noi, sfocato... l’auto sbandava... mio
padre imprecò... mia madre boccheggiò...
l’auto si inclinò, si inclinò...
FERMO IMMAGINE.
Ricordo quando Em e io facevamo quel
gioco. Alzavamo al massimo il volume del
nostro iPod dock – rock martellante – e ballavamo
come se avessimo un attacco epilettico.
Poi una di noi urlava fermo immagine
e ci bloccavamo di colpo, cercando di non
ridere, finché una di noi non urlava la parola
magica che ci faceva muovere di nuovo.
Balla!
In quel momento avrei voluto poter ur16
lare fermo immagine e rimettere a posto la
scena e i protagonisti. Ma la vita non è un
gioco, vero?
BALLA.
L’auto si staccò dall’asfalto, si capovolse,
cadde a terra, rovesciata, poi si ribaltò di
nuovo. Il suono del metallo che si accartocciava,
del vetro che andava in frantumi e le
grida di dolore mi risuonarono nelle orecchie.
Fui scaraventata avanti e indietro
sul sedile, il mio cervello diventò un frappé
alla ciliegia dentro la scatola cranica, mentre
un susseguirsi di colpi e urti mi toglieva
il fiato.
Quando finalmente ci fermammo ero
così intontita e confusa che mi sembrava ci
stessimo muovendo ancora. Almeno le urla
erano cessate. Sentivo solo un fischio nelle
orecchie.
«Mamma? Papà?» Silenzio. Nessuna risposta.
«Em?» ancora niente.
Mi guardai intorno. Avevo la vista un po’ appannata,
qualcosa di caldo e umido mi colava
tra le ciglia, ma ci vedevo abbastanza bene.
E ciò che vidi mi distrusse.
Urlai. Mia madre era coperta di tagli, il
corpo pieno di sangue. Emma era riversa
sul sedile, la testa con un’inclinazione innaturale,
la guancia squarciata. No. No, no,
no.
«Papà, aiutami. Dobbiamo tirarle fuori!»
Silenzio.
«Papà?» Lo cercai... e mi accorsi che non
era più nell’abitacolo. Il parabrezza era in
frantumi e lui giaceva immobile su una distesa
di frammenti di vetro qualche metro
più avanti. C’erano tre uomini in piedi intorno
a lui, illuminati dai fari dell’auto.
No, non erano uomini, mi resi conto. Non
potevano esserlo. Avevano la pelle cascante
e butterata, i vestiti sporchi e laceri. I capelli
pendevano in ciocche rade dagli scalpi
chiazzati e i loro denti... erano così taglienti
mentre... mentre si lanciavano su mio padre
e svanivano dentro di lui, per riemergere
un secondo dopo e... e... divorarlo.
Mostri.
Cercai di liberarmi, dovevo portare Em
in salvo – Em, che non si muoveva e non
piangeva – dovevo raggiungere mio padre,
aiutarlo. Urtai qualcosa di duro e tagliente
con la testa. Avvertii un dolore devastante,
ma cercai di resistere mentre le forze mi
abbandonavano, la vista si offuscava...
Poi fu notte-notte per Alice e non seppi
altro.
Almeno per un po’.
La Showalter ha creato un mondo fantastico che si intreccia con quello reale, sovvertendo le tradizionali
regole dell’horror per creare un romanzo decisamente originale.
Romantic Times Magazine
Incalzante e ricco d’azione. Alice in Zombieland non mancherà di affascinare adulti e ragazzi.
Gena Showalter,
ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2004 e oggi ha al suo attivo oltre 30
romanzi di diversi generi erotici, paranormal e per ragazzi che sono
subito balzati in vetta alle classifiche del New York Times e di USA
Today. Passioni pericolose, forze soprannaturali e uomini terribilmente
sexy sono gli ingredienti del suo successo. In Italia ha ottenuto uno strepitoso successo con la serie Lords of the Underworld.
ALLA PROSSIMA!!!